SULL’ARTE CONTEMPORANEA
Christian Caliandro, giovane storico d’arte contemporanea che seguo con interesse su ARTRIBUNE, è da tempo che si pone in termini critici nei confronti di buona parte dell’attuale produzione artistica. Di recente ha pubblicato un articolo “Quali sono gli obblighi dell’arte contemporanea?” dove, in sintesi, stigmatizza parte dell’arte contemporanea, colpevole, a suo dire, di strumentalizzarla a fini o di autopromozione (dell’autore) o di promozione di altri interessi, e ciò a detrimento, se non ad esclusione, di quelli del suo naturale destinatario : il fruitore. Bene, è sempre un bene che qualcuno fuori dal coro denunci tante scemenze abilmente truccate a farle passare per arte. L’arte è una cosa seria, direi sacrale. L’arte, come la sessualità, serve alla vita e giudicarla solo come un piacevole trastullo è una grossolana superficialità.
Dunque, se la denuncia va sempre bene, vi è però da dire che se essa è necessaria e opportuna da parte di tutti, non è invece sufficiente per gli addetti ai lavori. Da loro ci si aspetta qualcosa in più : ci si aspetta che ci facciano capire il perché di quel male ed eventualmente indicare i possibili rimedi. A me, paziente, spetta l’onere di ben manifestare il male che mi affligge, ma al medico l’onere della diagnosi e, sperabilmente, la terapia. E poiché non tutti i mali sono evitabili, come la morte per esempio, esistendo quella “naturale” (per vecchiaia) , e quella accidentale, mi aspetto che il medico, se crede, pianga con me il comune destino della morte naturale, ma al contempo mi sappia prescrivere una possibile terapia contro quella accidentale.
Dunque al critico allora l’onere di aiutare a capire la categoria di appartenenza del male oggetto di denuncia e il perché. Aiutare insomma il passaggio, vichianamente, dal sentire all’avvertire. Dal sentimento alla ragione, cioè alla conoscenza.
Caliandro invece, nel muovere la sua giusta critica, parte dal contemporaneo e tutte contemporanee sono le citazioni e categorie critiche che usa, come se i mali denunciati nascessero oggi, senza alcun precedente storico. Ma le cose purtroppo non stanno così. Certo, nella contemporaneità si manifestano con la veste e con l’accentuazione di tutti gli accidenti contemporanei (linguaggio mutuato da quello pubblicitario, tecniche, algoritmi ecc.) , ma l’essenza, le categorie di fondo sono vecchie, già oggetto di studio nel passato. E allora ci si chiede, ma questi mali ancora oggi nuovamente oggetto di denuncia, vista la loro persistenza, sono da riferirsi, per analogia, alla morte naturale o accidentale? E cosa eventualmente fare per ridurne la portata?
In merito alla figura dell’artista-autocritico per esempio, Caliandro si esprime in termini categorici nel negarne la possibilità d’esistenza, in contrasto con Argan che invece a suo tempo si pronunciava appunto contro l’ipotesi dell’artista tutto istinto e niente cervello. La verità forse è che esistono artisti e artisti: vi sono quelli tutto immaginazione ed espressione, ma anche quelli che oltre a ciò hanno anche coltivato una propria coscienza critica e che dunque, dopo il parto, a mente riposata, sanno ben collocarsi nel processo storico. Kant, nella sua Critica del Giudizio, a questo proposito, ne ha fornito abbondante argomentazione. Lo stesso immenso Kant poi, citando Cicerone, ha ampiamente trattato circa la negatività dell’arte oratoria, altro punto critico rilevato da Caliandro.
Per concludere, è un vero peccato che menti sveglie come il Nostro, non si preoccupino abbastanza di esplicitare il loro percorso critico rapportandolo alla cultura del mondo. Privando infatti lo spettatore/fruitore del piacere del ri-trovarsi con le proprie precedenti esperienze/saperi e presentando il tutto sempre come nuovo, lo si sottopone ad uno stress inutile che, stancandolo, potrebbero indurlo a mandare tutto al diavolo, e lasciare così l’arte ai soliti “sfaccendati” addetti ai lavori. Che è poi, paradossalmente, lo stesso risultato conseguito molte volte partendo da un altrettanto disattento approccio opposto: quello storico-filosofico. Quante volte infatti abbiamo sbadigliato, pregando Iddio cha la faccia finita, ascoltando quell’erudito che non la finisce più di esibire la sua profonda conoscenza dei classici, saltando con disinvoltura che so, da Platone a Nietzsche con dovizia di particolari e citazioni, che ovviamente non conosciamo, per poi concludere che gli antichi avevano capito tutto e che oggi tutto è sbagliato e che quindi tanto vale suicidarsi?
PP Giugno 2022
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