Sulla Chiesa Santo Spirito a Taranto
Sebbene per l’architettura il tempo dell’indifferentismo sia in fase calante, non è tuttavia un’esperienza comune vedere un’opera che dica qualcosa di significativo. Il più delle volte il mestiere prevale ancora e l’acritica accettazione di una serie di convenzioni linguistiche ben collaudata produce, se va bene, letteratura, ma non poesia.
Anche quando però fortunatamente c’è poesia, spesso si verifica che i limiti di natura pragmatica non hanno consentito di dire compiutamente il dicibile, sicché rimane un residuo incombusto che preme e tormenta il progettista. E questi, dimentico che lo specifico dell’architettura è proprio questa eterna e forse insanabile contraddizione tra ciò che potrebbe essere, che è dell’immaginario, e ciò che è possibile che sia, che è della concreta realtà contestuale, ricerca nuove occasioni che gli consentano di completare il discorso. Progettare diventa dunque una necessità, quasi biologica.
E’ quanto sembra sia accaduto a Claudio Adamo e Lucia D’Ammacco, coniugi, progettisti della chiesa “Spirito Santo” a Taranto.
Sempre a Taranto e in tutt’altro contesto, nei primi anni 80, avevano già concretizzato una significativa esperienza (Chiesa parrocchiale “M. SS. Addolorata – L’Arch. n.329 del marzo 1983) che tuttavia a causa dei condizionamenti derivanti dall’essere un recupero di semplici e vetuste strutture, deve evidentemente aver stimolato, anche sotto la spinta emotiva di tragici eventi familiari, il bisogno di riformulare più ampiamente e portare alle estreme conseguenze quanto qua era stato possibile solo accennare, sia pure con eccellenti risultati.
La chiesa “Spirito Santo” è ubicata alla periferia a sud-est della città, a servizio di un nuovo quartiere residenziale. Il mare è a due passi ma non si vede: un’alta muraglia (Arsenale nuovo) lo separa dal resto del territorio. (Taranto a suo tempo ha preferito “vendere” la sua natura – il rapporto con il mare – in cambio di un po’ di posti di lavoro). Il sito pertanto richiedeva un autentico pezzo di architettura in grado di catalizzare la percezione e qualificare l’intorno, nonostante successivamente si sia poi realizzato proprio davanti un viadotto che fatalmente ne riduce l’influenza.
La chiesa, in un ampio lotto su tre lati libero, è sostanzialmente costituita da due complessi giustapposti e realizzati in due tempi: il primo, a matrice quadrangolare ospitante la canonica e le opere parrocchiali; il secondo, l’aula assembleare, “un gigantesco disco rotante semiconficcato al suolo”, nella fantastica storia di L. Zevi per illustrarne la genesi. (L’Arch. n.475 del maggio 1995).
Appena dentro il recinto, nel parcheggio che precede il sagrato, lo sguardo è catalizzato dall’enorme copertura spiraliforme inclinata che scendendo sino a terra e accompagnata da una possente lastra-scultura curva, determina uno spazio circolare fisicamente ancora esterno che ti attira, prima al suo centro, per poi spingerti dentro. Un raggrumarsi della materia lascia aperto un varco basso e scuro che si è indotti a superare e, quasi immediatamente, un’esplosione di luce in un immenso.
Un immenso circolare polarizzato fuori centro sia dalle travature a soffitto convergenti che dalla luce dall’alto. Il perimetro esterno, aperto, induce a far entrare altro, la città, e non ad uscire. Una corrente emotiva, per una sorta di effetto camino, che attira all’interno e convoglia poi in alto da dove piove la luce.
Esperienze da vivere.
Se lo spazio è proprio dell’architettura, gli elementi determinanti lo spazio possono essere vari. In questo caso si deve parlare di architettura scolpita. Tutto infatti é meticolosamente scolpito. Meglio: l’intera opera sembra una immensa scultura ottenuta più per sottrazione di materia che per sovrapposizione.
Claudio Adamo e Lucia D’Ammacco sono profondamente credenti. Credenti attivi però.
Alcune per tutte :
– sullo sfondo, a sinistra dell’altare, in un grande triangolo equilatero, campeggia la figurazione di Cristo a braccia aperte. Ma non quella “storica”. A rappresentare l’umana sofferenza, vi è un Cristo “astratto geometrico” a matrice ancora triangolare;
– in asse con l’altare, la sede del celebrante. Un massiccio e curato cilindro di marmo tagliato con un piano obliquo che ha al centro per seduta una comoda e ordinaria poltrona da ufficio anziché l’ovvio piano duro che obblighi ad una postura eretta ed austera;
– al soffitto, fissato sopra all’altare, un grande complesso di tre croci metalliche turchese. Appese ad esso, sbrigativamente, con catena di metallo zincato, quattro comuni casse acustiche.
L’interpretazione è libera.
(pp)
Apparso su : “ L’ Architettura – Cronache e Storia “ n. 589 – Nov. 2004
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